quando una foresta, poi, ride

Written by all post, i disegni

a volte mi innamoro di libri con le figure – e so scrivere solo di quello che amo. cioè, amo scrivere solo di quello che mi piace.
[dichiarazione di senso. a volte devo anche ricordarmi del perchè esiste amemì. esiste per questo: per avere uno spazio di piacere e di bello, di buono e di bello, di cura e di bello]

e mi piace anche chiamarli libri con le figure e non albi illustrati.

non mi ricordo dove ho incontrato “la prima risata”.
è un peccato, perché una delle cose più belle è mettere gli oggetti in un momento. inserirli in quella circostanza, quando avevi quell’umore, magari avevi freddo e la pelle d’oca perché quel giorno non pensavi saresti stata in giro fino a sera e poi ti è capitato di entrare in una libreria in una zona della città che non conosci per niente e di venire chiamato da un libro -per qualche ragione che spesso non so.

i disegni sono di alicia baladan, che aveva illustrato anche la “storia piccola” di beniamino -libro amatissimo che ho trovato assolutamente altro rispetto a tutti gli albi che conosco per la finezza, la geometria, la purezza della palette colori e la poesia di ogni tavola.
lì c’è un beniamino a cavallo di un grande pesce rosso e qui ho trovato quel disegno arricchito ed esploso nella tavola sull’ e nell’acqua.
comunque. alicia badalan mi piace molto. è delicata e precisa e grandemente evocativa.

si racconta prima di tutto del corpo. è un mito sulla nascita della risata, sì.
c’è un tempo prima che ci sia il tempo e uno spazio che è incontaminato e pieno. c’è una foresta, mamma di mille animali, c’è la cascata e la quercia e liane, orchidee e tanti colori. c’è una risata che esplode.
ma prima di tutto ci sono due corpi. ci sono due corpi che sono diversi. ci sono due bambini che esplorano questa alterità. che si toccano – “come se si cercasse qualcosa sotto” alla pelle.

si chiamano enea e alia.
c’è un corpo che è spigoloso, un petto che è largo e forte. ci sono delle mani piccole (“più piccole”: l’identità nasce dal confronto con), una vita che è curva e tonda “come la luna”, dei piedi come i pesci del fiume.
e poi tu “sai leggere i miei pensieri più profondi” -dice enea ad alia.
proprio come la luna – dico io.
ci sono un io e un altro che si trovano davanti – ognuno con le sue proprie specificità, poteri, sentire, carni, sensi.
la scoperta dell’altro attraverso la pelle che tocca, gli occhi che guardano. la potenza del momento in cui ci si è riconosciuti come diversi da e ci si riconosce come qualcosa di proprio, un corpo mio con cui per tutta la vita dovrò fare i conti.

mi ricordo io e mio fratello in vasca da bagno, guardarsi e guardarlo e chiedersi i perchè e i come. o al mare, i corpi nudi degli adulti -rigonfiamenti, protuberanze, peli
– mondi.
tante domande – ma cosa mi piace? ma come sono? ma sarò così? aspettare il tempo in cui poi il corpo prende le sue forme definitive e odiarlo e poi amarlo. esibirlo, nasconderlo, mostrarlo. provare compassione e orgoglio e ribrezzo per queste forme che non si controllano – come una pianta che cresce come vuole e non puoi farci niente se non guardare, ascoltare, scrutare, aspettare.

quando scoprirono di essere diversi, scoppiarono a ridere.

che cosa è una risata? è un suono ed è un colore – o mille colori.
ci sono libri che sono silenzio – e libri che sono mille occhi e mille suoni di una foresta che esplode di vento che fruscia, acqua che scroscia, ali che si aprono, becchi che sbatacchiano e cinguettii.

ridono e ridono e poi iniziano a farsi il solletico – ridono tanto forte che la foresta si fa silenziosa e apre tutti gli occhi per essere solo orecchie
e ascoltare quello che guccini ha chiamato il tintinnare del tuo buonumore: il suono del ridere.

questa è la foresta col puma che guarda come nella giungla di henri rousseau. un anno la smemoranda aveva usato come immagine nella sua prima di copertina e io per tutto l’anno scolastico avevo guardato gli occhi di questi animali che mi guardavano, distesa e stupidamente nuda, il suono di uno strumento a fiato, frutti da cogliere -basta tendere una mano- e sole che sembra una luna e buio che è giorno. e oggi, a rivederla quando ho due figli adolescenti, mi sembra un perfetto ritratto dei chiaroscuri dell’essere in quell’età che è chiaroscuri, animata da mostri o da protettori, nascosta celata misteriosa- dolorosa e benefattrice.

“come si fa a ridere come loro?” pensò una quercia che cresceva lì vicino, “voglio anch’io quell’allegria che si sparge dappertutto”.
la giovane quercia allungò uno dei suoi rami e toccò la schiena di alia; chiuse gli occhi per ascoltare la sua risata e le sembrò che tutti gli uccelli del mondo cantassero dentro di lei.

sono stati due bambini, toccandosi e ridendo dei loro corpi fatti diversi, che hanno cominciato a ridere.
è stata la risata di due bambini stupiti e felici che in silenzio, solo con la pelle contro la corteccia, ha insegnato ad una quercia a fiorire petali dorati.
è stato il manto di una vita fatta di piccole coccinelle ed enormi tartarughe -e armadilli, scimmie, facoceri, farfalle- a fare da scrigno a due piccoli corpi in contatto che hanno inventato un mondo.

poi, nota a margine: il testo è di gioconda belli, ma questa è veramente un’altra storia.
ora c’è il tintinnare di questa risata e la meraviglia del toccare una pelle lì, vicina e confine di un universo diverso.

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