i buchi.

lasciarsi per me è fare i conti con i buchi.

ci siamo lasciati e la casa in cui abbiamo vissuto tanti anni si è riempita di buchi. l’assenza ha preso la forma di una libreria in cui mancavano qua e là dei libri, di un armadio pieno solo a metà, del vuoto lasciato dalle sue casse. la cosa che più mi ferisce è il foro del chiodino sopra al suo comodino, dove era appesa una piccola cornice di una fototessera di lui bambino e sua madre – ognuno ha la sua madonna.

vivo da mesi in uno spazio pieno di vuoti.
guardarli, non avere il coraggio di riempirli, di espandersi, di riprendersi gli spazi. osservare.

sono arrivata a dire delle cose a quegli spazi di colpo vuoti. a raccontare loro che non mi piacevano, ma che non riuscivo a rimediare. che avevo bisogno di starci insieme, di darmi il tempo di capire come gestirli e come riempirli.

fino al punto in cui quei buchi li fai tuoi. entrano e scavano.
e stamattina mi sono svegliata e mi sono detta:
sono cava.
ormai sono cava.

ho un gigantesco antro nella pancia, sotto il cuore, fino al sacro. lo sento. è tutto vuoto, lì. non ci sono farfalle né pipistrelli, non ci sono emozioni o movimenti. ho pensato alle formiche del cervello di buzzati, ho pensato che avrei tanto voluto sentirne il solletico sulle pareti della mia caverna. ho provato a concentrarmi, ma non c’era nessuna zampetta.

il silenzio, qualche eco quando i pensieri si fanno troppo forti.

la paura che non riuscirò mai a sentire, e che quello spazio rimarrà buio.
comela gabbia di joanna concejo in cui le farfalle sono scappate.

come ci si riprende la vita, quando i giorni sono mutilati?
quando fra sé e il mondo ci sono tutte le patine che allontanano, i divieti, le mascherine. quando non c’è libertà né leggerezza.

ho un libro e ce l’ho da anni. secondo me è il libro che è stato più tempo in assoluto sul mio comodino, lì, pronto. dove in utah tengono il libro di mormon.

si chiama “dentro me”.

Io non sono sempre stato io. Prima di essere me, non ero dentro me. Ero altrove. Altrove è tutto tranne me.

il processo di individuazione, la lotta contro le paure, il confronto con l’ombra, il vuoto, l’orco, è qualcosa che avviene tutti i giorni. non si diventa grandi un giorno. non si abbattono le paure una volta per tutte.

non esiste la sconfitta del lupo – e la paura di essere portati via da un uomo nero è rinegoziata tutti i giorni, insieme alla propria identità, ai propri desideri.
tutti i giorni, tutti i momenti, diventiamo veramente noi .

questo libro racconta del vuoti e della paura, del silenzio, del grido e del confronto con l’orco.

Ma dentro me, non ero io il re. Almeno, non ancora.Avevo nemici e guai dappertutto. Dentro me, era la notte

ogni sera si sfida l’orco. col buio.

chi fa rimbalzare più volte un sasso in un fiume di sangue, vince.
“me” vince sempre.
ma non vuole mangiare l’orco come potrebbe fare in qualità di vincitore, perché l’orco gli somiglia troppo. così, per non mangiarlo, lo spinge nel fiume di sangue.

il pieno e il vuoto sono così simili, in fondo. il serpente che si morde la coda, e non riesci più a distinguerne l’inizio e la fine. io e la mia paura, alla fine chi sono io se anniento lei? non sono io, forse, solo insieme all’orco? solo se ci alleiamo e lo mantengo da qualche parte, in quello spazio che diventa a volte più grande e a volte più piccolo, che mi sta nella pancia e col suo vuoto – mi riempie?

un giorno il “me” si fa mangiare dall’orco. si fa inghiottire dall’ombra. e lì trova un paese simile al suo mondo interiore, il silenzio, niente era cambiato.

così urla, urla e urla forte. urla di fiamme di sangue e anche quel suono fa paura.

un giorno, poco tempo fa, un mio amico mi ha chiesto: come sta il tuo cuore? e io gli ho risposto veloce, di getto, che non lo sapevo, che a volte glielo chiedevo al cuore ehi ma tu come stai? che lui non rispondeva, forse anche lui cercava le parole. forse è tutto così quiet and still e poi un giorno grido forte di sangue e di fiamme, e poi mi siedo così, sotto una pioggia e un arcobaleno.

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