la malattia, la colpa. e sono cinque.

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quando eri lì nel lettino del box del pronto soccorso ti cercavano le vene nell’inguine
quell’ago, quegli aghi
non trovavano il sangue e intorno a te c’erano tanti infermieri
ti ricordi, tu?
è l’emogas signora, dobbiamo valutare quanto ossigeno ha nel sangue. 
è disidratato signora, non riusciamo a prelevare sangue, signora

[ma mi vedi? non sono mai stata una signora e quasi adesso non sono nemmeno più un essere umano. mi sento solo morire, qui, con voi, davanti a mio figlio crocefisso da aghi su questo lettino.
ma signora cosa ma signora chi]

avevi tutti i fili, tutti i fili attaccati al corpo. 

valutavano i battiti del tuo cuore? l’elettricità? io non lo so neanche. 
non me lo ricordo, sicuramente ho chiesto PERCHÈ TUTTI I FILI ma alla fine non mi ricordo nemmeno. è importante?

so che eri un ragno di cavi e attorno a te si affaccendavano mille persone, tutte preoccupate.

il meno preoccupato eri tu, e ridevi e mi chiedevi di farti una foto.

eri paonazzo. gli occhi grandi, il corpo magro, le vans ai piedi. quella felpa blu che ho sempre odiato, già da prima mi faceva schifo e poi dopo quasi non riuscivo a guardarla

ti hanno fatto la prima glicemia da dito – la prima di mille mila
il glucometro non rileva la glicemia, signora
QUESTO GLUCOMETRO NON FUNZIONA, urlavano
sullo schermo c’erano due lettere, acca+i. HI. HIGH. 
adesso glielo saprei dire
amore mio, forse al corso eri distratto e te lo dico io, che ormai il gluco è il compagno dei nostri giorni. questo glucometro funziona perfettamente ma non è in grado di rilevare glicemie troppo alte – così straordinariamente alte.

jaume per fortuna che ridi

jaume ci sei? non ti addormentare eh.
finiamo queste cose e poi andiamo in reparto

idratatelo, non ha sangue, facciamo l’insulina subito, è a 852, non può andare in coma
sì MIO DIO prima di venire qui aveva fame, sì ha fatto merenda. cocopops, latte e anche una banana. aveva TANTA fame.

ho chiuso gli occhi nel box e ho pensato 
n o n c r o l l a r e n e n e n o n c r o l l a r e
poi ho fatto qualcosa che era simile a una preghiera, la prima di tante,
ascoltatemi vi prego sentiteci vi prego
siamo qui e vogliamo stare bene vogliamo stare forti avere l’energia di andare oltre a tutto oltre a tutto questo
vi odio che ci avete messo qui in questa situazione, vi odio e vi imploro, per favore cielo mare terra oceano vulcani stelle pianeti sole
sole per favore.

ma poi li ho chiusi più forte e ti ho chiesto scusa

scusa jaume,
devo avere sbagliato qualcosa nel farti.
scusa jaume,
io ti giuro che volevo farvi perfetti, coi corpi e coi cuori perfetti.
con la forza e la bontà, belli e giusti, kaloi kai agatoi.

io chiedevo i perchè e loro dicevano 
non si sa esattamente, signora. sa, il diabete 1 non è esattamente una malattia ereditaria. non si eredita la malattia ma la predisposizione alla malattia.
ah, pensavo io. e cosa è successo allora? 
per colpa mia lui è predisposto, e poi l’ha sviluppata. eppure abbiamo fatto tutti la stessa vita, mangiato le stesse cose, respirato la stessa aria. ha anche un gemello, paripari a lui.
eppure oh, i cibi biologici, la vita in campagna, un cielo enorme e blublu sopra i vostri 10 anni di vita, quei cazzo di cipressi, i giochi nel bosco, il fango nei piedi, le uova prese nel pollaio, i coniglioli di mario, i latti vegetali – la vita più pura. 

[foto di manfre]

poi siamo usciti, ah quando siamo usciti, signora mia.
[quanto male sa fare la gente? LA GENTE, ma anche la famiglia, gli amici, le leggerezze]

eh ma certo, si è ammalato perché gli hai dato da mangiare tante schifezze

occristo. è vero. quando compravo i pandistelle jaume e micu avevano gli occhi che buttavano fuori cuori e arcobaleni – e allora compravo i pandi, qualche volta. e anche la nutella. a volte le gocciole.
a volte quando uscivamo a farci gli aperitivi vi prendevo anche una coca da dividervi. MIODIO CHE LEGGEREZZA – SE L’AVESSI SAPUTO.

come quella volta, pochi mesi prima dell’esordio, alle logge.

cazzo è colpa mia.
gli ho dato qualche schifezza – il talebanesimo non è per me. 
è colpa del fatto che sono incoerente, è colpa mia perché gli compravo anche i gelati industriali.

e quella volta, una decina di giorni prima del tuo esordio, che morivi di fame e io ti vedevo strano e eravamo in giro a siena e vi ho detto
sapete cosa, ragazzi? facciamo una birichinata giga. oggi andiamo da mc donald.

era la prima volta in vita mia, ero felice di riuscire ad essere morbida, di fargli assaggiare tutto, nella vita. ma non di cibo, ma di cose, luoghi, esperienze, persone. va bene anche mc donald. non voglio che ci siano divieti, o NO PERCHE’ NO. volevo offrirvi un pò di tutto, senza creare spazi di desideri vietati.

siamo entrati da mc donald e ci siamo mangiati un panino.
poi tu jaume avevi ancora fame, tanta fame e io pensavo “madonna come starà crescendo jaume” e ti ho detto “massì ma prendiamone un altro”
e poi in macchina ti sei addormentato – avrai avuto la glicemia a millemila e io non lo sapevo e potevi andare in coma e che cretina che sono stata

e quante colpe che ho.

sai irene c’è un medico russo, riceve a milano. ti attacca a una macchina, legge i traumi sottili che hanno causato la malattia. riuscirà a guarirlo. la malattia è la materializzazione di un trauma. forse non si sentiva amato? forse non era voluto? si è ammalato perché era triste. ragiona su questo.

la nostra epoca ha una particolare predilezione per le spiegazioni psicologiche delle malattie, come di qualsiasi altra cosa. la psicologizzazione dà l’impressione di fornire un controllo su esperienze ed eventi (come le malattie gravi) su cui, di fatto, si ha un controllo scarso o nullo. la spiegazione psicologica erode la “realtà” di una malattia.

[la malattia come metafora | sontag]

sai cosa? è perché è nato da taglio cesareo. sai che c’è una percentuale altissima di bambini nati da tc che si ammala? e sai perché è nato da cesareo? perché in realtà tu non lo volevi, lo trattenevi, gli hai impedito di girarsi. era podalico perché in realtà non voleva arrivare al mondo.

ma no ma non è vero ma come ti permetti? ma certo che li volevo – con tutto e di più
ma ridevo tantissimo ero in una bolla di amore e la pancia è la cosa più bella che sia mai successa per me in me
poi oh forse ho sbagliato qualcosa, il mio corpo ha sbagliato qualcosa, non sono capace di perfezione ma ragazzi io vi ho voluti con tutto l’amore che ho potuto e si vede, è lì, nelle foto che aveva fatto il vostro papà un pomeriggio d’estate

la colpa è una cosa di cui non si può parlare.
a volte con i malati e con i genitori di malati ho provato a parlare del mio senso di colpa. viene generalmente zittito: ma no ma cosa dici ma tu non c’entri niente.
sì lo so. la mia testa lo sa.
cosa posso fare io, minuscola, con le trame dei fili del mondo?

però forse il fatto che solo ora, ora che chiudiamo il quinto anno nel mondo della malattia, io sia in grado di parlarne è già qualcosa.
forse quella colpa mi sta lasciando, quella richiesta di perdono,
perdonatemi se ho sbagliato, non prendetevela con jaume, non prendetevela con i bambini, sarebbe stato sufficiente molto meno per avermi.

.in tutto l’ultimo anno mi ha accompagnato susan sontag, con “la malattia come metafora”. l’ho letto e riletto, in inglese e poi in italiano. è stata una guida, e si apre così:

la malattia è il lato notturno della vita, una cittadinanza più gravosa. ogni nuovo nato detiene una duplice cittadinanza, nel regno dei sani e nel regno degli infermi. e per quanto preferiremmo tutti servirci soltanto del passaporto migliore, prima o poi ciascuno di noi è costretto, almeno per un certo tempo, a riconoscersi cittadino di quell’altro luogo.
il mio intento è descrivere non ciò che realmente significa emigrare e vivere nel regno dei malati, ma le fantasie punitive o sentimentali elaborate attorno a quella situazione: non la geografia reale, ma gli stereotipi sul carattere di quella nazione. il mio tema non è la malattia fisica in quanto tale, ma l’uso figurato o metaforico della malattia. la mia tesi è che la malattia non è una metafora, e che il modo più veritiero di concepirla – nonchè il modo più sano di essere malati- è quello che meglio riesce a purificarsi dal pensiero metaforico, e a opporvi resistenza. ciò nonostante, è quasi impossibile prendere residenza nel regno dei malati senza lasciarsi influenzare dalle sinistre metafore architettate per descriverne il paesaggio.

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